Il virus ha da sempre affascinato la mente dell’uomo. Basta pensare alla lista di film e romanzi dedicati all’argomento.
La pandemia di Coronavirus ci proietta in un immaginario, che la cinematografia ha saputo raccontare più volte nel corso degli ultimi decenni. Da “L’esercito delle 12 scimmie” a “Train to busan”, da “Virus Letale” a “28 giorni dopo”: tutte narrazioni in cui virus sconosciuti e micidiali aggrediscono la civiltà umana. Eppure c’è una pellicola che forse più di altre ha saputo anticipare in modo sorprendente quello che stiamo vivendo oggi. Si tratta di “Contagion”, film del 2011 di Steven Soderbergh. A partire dall’incipit del film, notiamo una diabolica affinità tra la genesi della pandemia di “Contagion” e quella del nostro Coronavirus. Tutto ha inizio da una donna d’affari americana, Beth Emhoff (Gwyneth Paltrow), che di ritorno da Hong Kong crolla a terra apparentemente per una banale influenza. Dopo essere stata portata velocemente in ospedale, muore poco dopo il suo ricovero, diventando a tutti gli effetti la prima vittima di una malattia indicata successivamente con la sigla di virus MEV-1. Attraverso episodi quotidiani, focalizzandosi sui microcosmi dei singoli personaggi, “Contagion” racconta una veloce quanto inevitabile diffusione del virus in tutto il mondo. Sono tante le similitudini fra la pandemia del virus nel film di Soderbergh e quella del nostro Coronavirus: la trasmissione dall’Oriente (da Hong Kong in “Contagion”, dalla provincia di Wuhan nella nostra realtà), la sua natura collegata al salto di specie dagli animali selvatici all’uomo, il suo presentarsi con i sintomi di una semplice influenza per poi diventare mortale (anche se il MEV-1 del film ha un tasso di letalità molto più alto, fra il 25% e il 30%). Sono quasi identiche le conseguenze politiche ed emergenziali alla pandemia: il panico, le quarantene, gli assalti ai supermercati, l’attivazione di una serie di protocolli dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per contenere il contagio, i consigli di “stare a casa” e di “lavarsi le mani”, la caccia al paziente zero e lo studio delle curve esponenziali. Dietro alla sceneggiatura c’è il contributo degli scienziati. Scott Z. Burns, sceneggiatore del film, tra il 2009 e il 2010 ha condotto una serie di ricerche direttamente presso il CDC (quello che è per gli statunitensi il nostro Istituto Superiore di Sanità), frequentando due famosi epidemiologi come Lawrence Brilliant e W. Ian Lipkin. Entrambi hanno dato un contributo fondamentale per “immaginare” la progressione di una pandemia a livello globale e la reazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di fronte ad una tale minaccia. Inoltre, Soderbergh e Burns hanno richiesto la consulenza di Laurie Garrett, divulgatrice scientifica, che aveva studiato da vicino gli effetti dell’aviaria e della SARS, virus che hanno ispirato l’immaginato MEV-1. Non c’è niente di impossibile nella costruzione narrativa di “Contagion” e la situazione del mondo attuale conferma la verosimiglianza di tutte le sue ipotesi.
Ciò che rende davvero interessante questo film è la riflessione di Soderbergh sull’inevitabilità di una pandemia all’interno del nostro villaggio globale. Il mondo di “Contagion” si relaziona e comunica proprio come facciamo noi oggi, attraverso la rete, voli low cost, blog, chat, social network (si cita spesso Twitter). I tempi di propagazione del virus sono quelli attuali dei media digitali: velocissimi e spietati. In altre parole, tutto è “virale”, non solo il virus stesso. Nel film un blogger complottista (Jude Law) tenta di costruirsi un pubblico come nuovo “profeta″ arricchendosi alle spalle della tragedia a suon di fake-news. “Per ammalarsi, si deve entrare in contatto con una persona malata o con qualcosa che abbia toccato. Per spaventarsi, basta entrare in contatto con una calunnia, con la televisione o con internet”, puntualizza in una scena il dottor Ellis Cheever interpretato da Laurence Fishburne. È proprio qui che Soderbergh sembra “affondare i denti”, strappando morso dopo morso l’idea positiva di uno spazio civile globalizzato, rovesciando la sua caratteristica inclusività sociale in una pericolosa minaccia all’esistenza stessa dell’umanità. L’approccio di Soderbergh mette in guardia nei confronti degli “spazi aperti” della postmodernità tramite alcuni particolari del film: la figlia di Mitch Emhoff (Matt Damon), che è costretta ad incontrare il ragazzo amato dopo una lunga attesa (perché lui ancora non era vaccinato), ci fa assaporare un ritorno agli antichi valori delle relazioni sentimentali; le ultime scene non lasciano poi spazio al dubbio: nella genesi del virus c’è lo zampino dell’uomo globalizzato, che deforesta zone incontaminate e cresce animali in allevamenti intensivi. Vi ricorda qualcosa?
Prendiamo spunto anche dalla letteratura. Il tema della diffusione e del contagio della malattia è presente fin dalla letteratura antica: ad esempio, nel I libro dell’Iliade, Apollo scatena, scoccando le sue frecce, una terribile pestilenza nell’accampamento greco per punire Agamennone della mancata restituzione della figlia al sacerdote Crise. Sofocle, nell’Edipo re, racconta invece di una terribile pestilenza che devasta Tebe accompagnata da funesti presagi. L’unico modo per stornare la pestilenza sarà quello di allontanare l’uccisore di Laio (lo stesso Edipo). Come si vede in questi due esempi, la pestilenza assume la valenza di una punizione che gli dei infliggono agli uomini per le loro malefatte. Essa, perciò, non si scatena in modo casuale, come in molte rappresentazioni letterarie della modernità e della contemporaneità.
Con un salto di secoli, non si può non ricordare la peste che imperversa nella cornice del Decameron di Boccaccio: qui, la pestilenza rappresenta proprio il motivo trainante del racconto. È per sfuggire alla malattia che i giovani si pongono in una condizione di isolamento volontario in campagna e, per trascorrere il tempo, decidono di raccontarsi le novelle. Un’altra potente rappresentazione moderna della peste è offerta da Alessandro Manzoni con la raffigurazione di questa a Milano nel Seicento ne I promessi sposi.
Sullo scorcio dell’Ottocento e sul declino dell’età vittoriana appare poi un romanzo che, fra i suoi temi cardine, annovera anche quelli del contagio e della diffusione della malattia: Dracula di Bram Stoker (1897). Il romanzo abbraccia importanti tematiche e problematiche novecentesche: il rapporto Occidente-Oriente, il tema del sesso e il ruolo della donna, le paure dello straniero, dell’epidemia, della follia, la riflessione sul potere, l’ossessione dell’identità e del non riconoscersi allo specchio. Dracula diffonde il vampirismo in Occidente per mezzo dei suoi morsi e non è difficile riconoscere in esso una malattia come la sifilide, che all’epoca impauriva le masse.
Un romanzo più recente, Cecità di José Saramago, mostra invece la diffusione della cecità, la quale è assimilabile ad un vero e proprio virus. Anche in questo caso lo scenario è catastrofico: morti per le strade, la città in totale stato di abbandono, gruppi di ciechi che occupano le case altrui e lottano l’uno contro l’altro per assicurarsi il cibo. La cecità rappresentata dal libro ha sicuramente un valore metaforico e rappresenta l’incapacità di guardare oltre e più in profondità, da cui deriva l’assuefazione alle dinamiche oppressive di qualsiasi potere.
Trovo interessante “L’ombra dello scorpione” di Stephen King, scritto nel 1978. Alcuni scienziati alterano un virus vettore dell’influenza al fine di ottenere un’arma batteriologica con la capacità di infettare il 99,4% dei soggetti con cui entra in contatto. Nell’arco di pochi giorni questo virus riesce ad uccidere la quasi totalità del genere umano. I pochissimi sopravvissuti hanno in comune uno stato onirico che li porta a contattare una veggente nera, Madre Abigail, la quale cercherà di organizzarli per ricostituire una pacifica comunità. Contemporaneamente in un altro luogo del Pianeta, Randall Flag, il male in persona, cerca di organizzare la sua armata delle tenebre. Sarà infatti lo scontro tra il bene ed il male a determinare la sopravvivenza della specie umana.
Altri personaggi sono degni di nota: Stu Redman, uomo taciturno che, sopravvivendo all’influenza, giocherà un ruolo fondamentale nel mondo dei sopravvissuti; Frannie e il suo bambino incarneranno la speranza e la caparbietà di un mondo che non vuole finire; Larry Underwood, costretto a crescere suo malgrado e si scopre capace anche di atti eroici; Harold Lauder, che resterà vittima del suo paranoico ego; Nick Andros, sordomuto e cieco da un occhio, sarà il cardine dell’intera ricostruzione del mondo post-epidemia.
La chiave di lettura sociologica del romanzo si concretizza nelle battute finali, nel dialogo tra Frannie e Stu, che si pongono una domanda, che vorrei riproporre io oggi:
la razza umana può imparare dai propri errori
Bibliografia
King S., L’ombra dello scorpione, Bompiani, 2017,1376, Amato B, Dell’Orto A.
Boccaccio G., Decameron, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 2013, 1851
Manzoni A., I promessi sposi, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 2014, 1328
Omero, L’iliade, Garzanti, 2014, 494, Tonna G.
Sofocle, Edipo Re. Testo greco a fronte, Feltrinelli, 2013, 164
Stoker B., Dracula, Mondadori, 2016, 532, Saba Sardi F.
Saramago J., Cecità, Feltrinelli, 2013, 288, Desti R.
Filmografia
Soderbergh S., Contagion, 2011
Gilliam T., L’esercito delle 12 scimmie, 1995
Sang-ho Y., Train to Busan, 2016
Petersen W., Virus Letale, 1995