Emergenza Coronavirus: comprendiamo il modo in cui funzioniamo

Oggi parliamo di quali sono le basi psicologiche correlate al rispetto delle regole.

L’azione di contenimento dell’epidemia richiede interventi specifici sul comportamento delle persone.

Il comportamento è influenzato da due fattori principali: l’esperienza diretta o l’esperienza trasmessa a parole. La prima è sicuramente la più efficace. L’esperienza diretta relativa all’emergenza Coronavirus consiste nell’avere un parente ricoverato in ospedale dopo aver contratto l’infezione da Covid 19 oppure nel sapere che un proprio parente, in quanto medico o infermiere, è impegnato in prima linea in ospedale nell’assistenza

a questi malati. Chi ha esperienza diretta di tali sofferenze e preoccupazioni percepisce pienamente la necessità del distanziamento sociale e dell’isolamento al domicilio. Per tutte le altre persone dovrebbe essere sufficiente una regola che descrive le conseguenze di un comportamento: dobbiamo rimanere a casa per limitare le occasioni di contagio tra le persone. La percezione e l’accettabilità del rischio, però, paiono non essere adeguate nella totalità della popolazione.

Affinché una regola funzioni, il comportamento da mantenere/modificare deve essere espresso in modo chiaro, limitando il più possibile le ambiguità, le contraddizioni e le eccezioni. Mantenere tra le persone una distanza di 1,5 metri è chiaro, comprensibile, misurabile e basato su dati scientifici certi (1,5 metri corrisponde alla distanza che il virus non può superare con il suo vettore, le goccioline di saliva). La regola “state a casa” presenta invece vari problemi, dato che è impossibile rispettarla letteralmente: troppe le eccezioni, troppe le interpretazioni. Quali comportamenti sono consentiti? Acquistare beni necessari (cibo e medicine), andare in posta, andare in banca, andare al lavoro, passeggiare/correre, aiutare un parente, portare in strada il proprio cane per fare i bisogni, gettare la spazzatura, ecc… Con quale frequenza queste uscite sono consentite? Uscire con il proprio cane 2 o 3 volte al giorno è permesso, ma la spesa effettuata quotidianamente non è tollerata; non è consentito fare la spesa in supermercati di paesi limitrofi e non è nemmeno coretto che il povero cane venga portato a fare i suoi bisogni lontano da casa. Un aspetto fondamentale è la descrizione delle conseguenze della violazione della regola. “Attento, se vai in acqua dove non tocchi, affoghi”: quante volte abbiamo visto la scena di un bambino che comincia ad annaspare e di un adulto che prontamente interviene per afferrarlo e portarlo in sicurezza? In questo caso la conseguenza della violazione della regola è certa, immediata e naturale. Se si viola la regola “non uscite di casa”, la conseguenza non è invece così immediata, diretta e naturale. L’effetto del contagio non è lineare ed immediato: esiste il periodo di incubazione del virus, la probabilità di non contrarre la malattia, l’overconfidence bias (“ma io sto attento”) e la giustificazione della necessità di uscire di casa.

La scienza del comportamento si è occupata della reattività psicologica, un concetto introdotto già nel 1966 dallo psicologo sociale americano Jack Brehm, che usa il termine “reattanza” per descrivere una particolare forma di reazione a regole che minacciano o limitano alcune libertà di azione. Nelle sue parole, la reattanza psicologica si riferisce all’idea che, nelle situazioni in cui le libertà individuali sono ridotte o a rischio di riduzione, le persone sembrano motivate a riconquistare tali libertà. La reattanza è l’altra faccia della medaglia della compliance e dell’aderenza, termine con cui si indica il comportamento di seguire le prescrizioni e le indicazioni terapeutiche. Fattori socio-culturali ed individuali influenzano questa reattività: ad esempio, la concezione di Stato come bene comune frutto di un contratto sociale da rispettare (paesi nordici) o il concetto di libertà individuale che prevale su ogni cosa (Stati Uniti).

La neuroscienza comportamentale può spiegare il comportamento disorganizzato indotto dal panico da Covid 19.

Il cervello prova a compensare la frustrazione derivante da problemi irrisolvibili tramite la risoluzione di problemi risolvibili: affrettarsi ad acquistare una scorta di prodotti indispensabili (cibo, carta igienica, farmaci, mascherine, gel igienizzante) permette di risolvere un problema gestibile e, di conseguenza, permette alle persone di soddisfare il bisogno di controllo della situazione.

Il Governo ha fin da subito fornito semplici raccomandazioni di igiene contro il Coronavirus (lavarsi spesso le mani, tenere una distanza tra le persone di 1,5 metri,ecc…): il cervello però assume che, per risolvere problemi complessi, sono necessarie soluzioni complesse e, di conseguenza, la mente umana tenderà a sminuire la rilevanza e l’efficacia di queste semplici disposizioni inerenti alle misure di prevenzione igieniche.

Il cervello segue poi la legge del minimo sforzo, adora inserire il pilota automatico. Abbiamo le nostre routine giornaliere e settimanali. Quando quest’ultime vengono sospese, usciamo dalla comfort zone del pilota automatico e siamo spinti ad utilizzare il sistema cerebrale deputato al pensiero logico e al ragionamento. Questo spiega perché i primi giorni successivi all’annuncio di un’emergenza ci si sente comunque affaticati a fine giornata. Abbiamo sicuramente già affrontato situazioni difficili in passato e le abbiamo sapute gestire. Perché non prendere spunto dagli eventi del passato per ridurre l’ansia? Gli “ormoni dello stress” (cortisolo e adrenalina) vengono prodotti e rilasciati in grandi quantità in queste situazioni e influenzano negativamente la memoria; di conseguenza, non accediamo facilmente ai nostri ricordi.

Nelle situazioni di emergenza, inoltre, l’amigdala, la parte del cervello deputata alla gestione delle nostre reazioni emotive, prende il sopravvento e inibisce l’attività della corteccia cerebrale frontale, la quale ha invece un ruolo centrale nella presa delle decisioni. E’ anche per questo motivo che le fake news e le storie anomale guadagnano credibilità. Le situazioni prevedibili producono un apparente senso di controllo. La situazione attuale ci mette di fronte ad una nuova realtà, che il nostro cervello ritiene indesiderabile. Il lobo frontale, di cui abbiamo parlato poche righe sopra, combatte per trovare dei dati e dei parametri su cui poter pianificare il futuro.

Infine, scopriamo che le nostre risorse attentive sono limitate. Non siamo così “multi-tasking” come sosteniamo. L’informazione saliente cattura la nostra attenzione a prescindere dalla nostra volontà. Il nostro spazio attenzionale diviene così monopolizzato da tutto quello che riguarda l’emergenza Coronavirus.

Come diceva Platone, la miglior soluzione a tutti i problemi è la pazienza.

 

Bibliografia                                                                                                         

Miller H.,Heth D.C., Carlson N.R., Psicologia. La scienza del comportamento, Piccin – Nuova Libraria, 2008, 750, Fassari M.

Bloom F.E., Berg D., Squire L., Fondamenti di neuroscienze, CEA, 2016, 1280

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