La fisica Ilya Prigogine ha ricevuto nel 1997 il Premio Nobel per la Chimica per la sua teoria delle strutture dissipative, conosciuta anche come teoria del caos. Questa teoria afferma che la realtà non segue strettamente il modello dell’orologio, prevedibile e determinato, ma ha aspetti caotici entro i quali l’instabilità o l’imprevedibilità sono la norma. I processi della realtà dipendono da un enorme insieme di circostanze incerte che fanno sì, ad esempio, che qualunque piccola variazione in un punto del pianeta generi nei prossimi giorni o settimane un effetto considerevole nell’altra estremità della Terra. Questo fenomeno è noto come “effetto farfalla”: piccole variazioni nelle condizioni iniziali producono grandi variazioni nel comportamento a lungo termine di un “sistema”. Nell’uso comune il caos fa riferimento a uno stato di disordine. Tuttavia, nella teoria del caos, il termine fa riferimento alla dinamicità di un sistema, cioè al suo continuo essere in movimento.
Osservando i processi naturali, in cui noi come uomini siamo inseriti, possiamo comprendere come in natura il cambiamento sia inevitabile e funzionale alla sopravvivenza. Così vale per noi.
Questi concetti aprono necessariamente la strada ai costrutti di flessibilità, creatività, resilienza, applicabili tanto alle scienze naturali quanto alle scienze umane. Presa in prestito dalla meccanica, che vede la resilienza come la proprietà dei metalli di resistere agli urti diventando più solidi e resistenti, la resilienza è stata utilizzata dalla psicologia per indicare la capacità dell’essere umano di superare le difficoltà, integrandole nella propria esperienza e diventando pertanto più “resistente agli urti” proprio grazie a queste. Noi uomini, però, non siamo solamente resistenti agli urti, non torniamo in maniera elastica semplicemente alla nostra organizzazione precedente al trauma, come fanno i metalli. Noi uomini abbiamo l’immensa capacità di riorganizzare la nostra vita in una maniera nuova, a noi sconosciuta prima dell’evento doloroso. Quest’ultimo non viene negato, né tantomeno dimenticato; si fa invece tesoro di ciò che si è imparato dall’evento avverso, ricevendo da esso una forza propulsiva, un nuovo slancio, che ci porta a superare i nostri limiti precedenti. Alla base dell’idea di resilienza vi è lo stesso concetto della tecnica giapponese del “Kintsugi”, secondo la quale un oggetto rotto non viene gettato, anzi acquista un nuovo valore, in quanto, avendo subito una ferita, ha una storia da raccontare ed è più interessante. La crepa perciò viene valorizzata e riempita con oro, l’oggetto splende così di nuova vita.
In un celebre libro di storie della buonanotte dedicato alle bambine ribelli, l’incipit è un augurio dell’eminente Rita Levi Montalcini che raccomanda “E soprattutto non temete i momenti difficili, il meglio viene da lì”. D’altronde, quello che il bruco chiama fine del mondo, noi lo chiamiamo farfalla.
“Da queste profonde ferite usciranno farfalle libere”
Alda Merini
Bibliografia
Prigogine I., Le leggi del caos, Laterza, 2008, 117, Brega C., De Lachenal A.
Malaguti E., Educarsi alla resilienza. Come affrontare crisi e difficoltà e migliorarsi, Erickson, 2005, 240
Favilli E., Cavallo F., Storie della buonanotte per bambine ribelli. 100 vite di donne straordinarie, Mondadori, 2017, 124, Baldinucci L.
Merini A., Fiore di poesia (1951- 1997), Einaudi. 2014, 246