Storia, politica e neuroscienze: nella mente del dittatore

Dopo cinque anni al potere, il corpo del supremo leader nord coreano Kim Jong-un inizia a cedere. La sua riapparizione dopo un mese di misteriosa assenza, obeso e diabetico, mostra il prezzo che esige l’essere uno spietato dittatore. Ma in che condizione è la sua mente? Lo strano comportamento dei dittatori ci spinge a vederli come individui dallo scarso equilibrio psicologico, la cui instabilità mentale contribuisce alla loro follia e alla brama di dominare o opprimere milioni di persone. Ma sono davvero i mostri psicologicamente deviati che i media si divertono a raffigurare? Vi sono dittatori spietati che non mostrano alcun segno di disturbi psichici. Il siriano Bashar al-Assad, ad esempio, sembra un uomo felicemente sposato, con un comportamento pacato, che deriva dalla sua educazione inglese. Robert Mugabe dello Zimbabwe è un uomo molto intelligente e molto religioso, che non mostra segni di traumi interiori. Eppure entrambi guidano regimi spietati che hanno commesso gravi atrocità. Lo stesso si può dire per Kim Jong-un: lo sappiamo perché Kenji Fujimoto, confidente della famiglia di Jong-un, ha trascorso molto tempo con lui. Kim Jong-un aveva un legame molto stretto con il padre ed era adorato dalla madre. Lontano dall’immagine del narcisista psicopatico che gli viene attribuita, Kim Jong-un era capace di avere amici. Questo è quanto afferma Joao Micaelo, che è stato suo compagno di stanza quando entrambi frequentavano un collegio svizzero. Lo descrive come “un adolescente normalissimo”. Fujimoto ricorda un’occasione in cui, dopo un pomeriggio passato a divertirsi con le motoslitte da neve, il 18enne Kim Jong-un disse con tono quasi sognante: “Siamo qui, giochiamo a pallacanestro, andiamo a cavallo, corriamo sulle slitte da neve, ci divertiamo. Ma come vive la gente normale?”. Gli psicopatici non hanno questi livelli di empatia. Si può quindi concludere che Kim Jong-un non soffra di un disordine narcisista della personalità né che sia psicopatico. Questo ad esempio lo pone in contrasto con Josef Stalin, i cui crimini adolescenziali e le relazioni estremamente frammentarie col prossimo invece giustificano una simile etichetta.

Se quindi non esistono disturbi psicologici preesistenti in grado di spiegare il comportamento dei dittatori, è forse il fatto di diventarlo che porta allo scoperto tratti strani e sgradevoli? La risposta è sì, e l’elemento cruciale è il potere

Anche una quantità minima di potere può cambiarci sotto il profilo emozionale e cognitivo. Questo perché il potere accresce il testosterone sia negli uomini che nelle donne. Il testosterone a sua volta accresce l’attività della dopamina, l’elemento chimico che agisce nell’area del cervello preposta alla sensazione di “sentirsi bene”, la cosiddetta rete di ricompensa. Il potere ha effetto sul nostro umore attraverso gli stessi meccanismi cerebrali legati alla vincita di un premio, fare sesso o sniffare cocaina. Oltre a questo, la dopamina ci può rendere più coraggiosi, meno ansiosi e perfino più astuti. Ma il potere ha un lato oscuro. Come molti neurotrasmettitori cerebrali, la dopamina opera secondo una struttura a “U invertita”, il che significa che troppa o troppo poca ostacola il normale operare del cervello. La dopamina, come la cocaina, può sbilanciare il sistema di ricompensa, e un potere senza freni può portare a gravi problemi nel giudizio, nell’emotività, nell’auto-consapevolezza dei propri limiti e ad una perdita di inibizioni. Elimina anche l’empatia e porta a trattare gli altri come oggetti, più che come persone. Per farla breve, anche se anni fa Kim Jong-un non è partito come uno psicopatico, il potere assoluto di cui dispone oggi può renderlo tale. 

Le grandi dittature, inoltre, cercano di controllare la mente dei loro oppositori. Sono storie da romanzo o dietro c’è un po’ di verità? 

Cominciamo subito a chiederci che cos’è il brainwashing. In poche parole si tratta di un procedimento sulla base del quale un singolo individuo o un gruppo sono sottoposti a metodi manipolativi di coercizione della volontà, che hanno lo scopo di spingerli a conformarsi ai desideri, ai pensieri e alle opinioni di chi comanda. La definizione nasce nei primissimi anni ’50 per indicare le tecniche di indottrinamento dei regimi totalitari, in particolare quelle utilizzate durante la Guerra di Corea per plagiare i prigionieri. Ma questo tipo di controllo mentale è reale e fondato? L’acceso dibattito, che si è sviluppato nella comunità scientifica a partire dagli anni ’80, vede la maggioranza degli studiosi rispondere di no: non solo il lavaggio del cervello non è un fatto scientifico ma, quand’anche si verifichi, ha solo un effetto temporaneo. Insomma il cervello non si può lavare, almeno fino ad oggi. 

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